La vitamina D non sembra essere efficace nel ridurre la pressione sanguigna e non dovrebbe perciò essere prescritta in funzione antipertensiva: è questa la netta conclusione della revisione dei trial clinici sul tema appena pubblicata sulla rivista Jama internal medicine. Alcuni studi osservazionali avevano in passato rilevato che la carenza di vitamina D è frequente nei soggetti con pressione sanguigna alta, mentre gli studi randomizzati controllati sulla vitamina D nell’uomo avevano fornito risultati contrastanti sugli effetti benefici o meno sulle malattie cardiovascolari. Uno studio inglese che nel 2013 aveva preso in esame oltre 155.000 persone in cura in numerosi centri europei e statunitensi aveva poi concluso che chi presentava alte concentrazioni di 25-idrossivitamina D aveva in media valori di pressione sanguigna più bassi, e quindi correva meno rischi di ipertensione. Una tesi inversa era stata formulata in un trial australiano pubblicato nel 2014 su The Lancet diabetes & endocrinology, che rilevava un deficit di vitamina D in molti pazienti ipertesi, facendo ipotizzare un suo potenziale effetto benefico. Il ricercatore scozzese Miles Witham, dell’Università di Dundee, ha fatto il punto alla luce degli studi clinici pubblicati sulle pagine di Jama internal medicine: in dettaglio ha considerato 73 trial per un totale di 7.633 partecipanti, non riscontrando alcun effetto del supplemento di vitamina D sulla pressione arteriosa sistolica o diastolica. «I risultati di quest’analisi non supportano l’uso della vitamina D o dei suoi analoghi né nel trattamento individuale dei pazienti ipertesi e nemmeno come intervento antipertensivo a livello di popolazione» è la netta conclusione del ricercatore.
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