Abbassare i livelli di pressione sistolica diminuisce i rischi cardiovascolari
I risultati dello SPRINT (Systolic Blood Pressure Intervention Trial), uno studio indipendente, di quelli che gli americani chiamano in maniera pomposa ‘landmark’, cioè ‘pietra miliare’, finanziato e voluto dai National Institutes of Health americani e interrotto precocemente, vista l’eccezionale rilevanza di questi risultati.
Lo studio evidenzia come un trattamento più aggressivo della pressione arteriosa, mirato a portare i valori di pressione sistolica ben al di sotto del target indicato dalle attuali linee guida, riduce in maniera significativa il tasso di malattie cardiovascolari e quello di mortalità, negli ipertesi adulti dai 50 anni in su.
Portare la pressione sistolica al di sotto di 120 mmHg nella popolazione dello SPRINT ha ridotto infatti di circa un terzo i tassi di eventi cardiovascolari (infarti e scompenso cardiaco) e di ictus, mentre ha abbattuto di un quarto il rischio di mortalità, rispetto a quanti erano stati trattati secondo il target sistolico previsto dalle attuali linee guida, ovvero 140 mmHg.
Iniziato nell’autunno del 2009, lo studio ha arruolato, presso un centinaio di centri e ambulatori medici negli USA e a Puerto Rico, oltre 9.300 pazienti di età pari o superiore ai 50 anni. Tra la popolazione presa in considerazione non figuravano pazienti con pregressi ictus, né con diabete o con rene policistico.
Questo SPRINT è il più vasto studio mai realizzato ad aver valutato come, mantenere i valori di sistolica al di sotto del livello comunemente raccomandato dalle linee guida (inferiore a 140 mmHg per la popolazione generale e inferiore a 130 mmHg per la popolazione con diabete o con malattia renale), possa avere un impatto sulle malattie cardiovascolari e renali. Lo studio è stato interrotto precocemente dai NIH per poterne comunicare immediatamente questi risultati preliminari così importanti.
I pazienti arruolati sono stati divisi in due gruppi di trattamento randomizzato, questi differivano in base al target pressorio da raggiungere; per il primo gruppo l’obiettivo di pressione sistolica è stato fissato al di sotto di 140 mmHg e i pazienti sono stati trattati in media con due farmaci. Nel gruppo ‘trattamento aggressivo’ invece l’obiettivo di sistolica da raggiungere è stato fissato su valori pari o inferiori ai 120 mmHg e per farlo sono stati utilizzati in media tre farmaci antipertensivi in associazione.
“Questo studio – commenta Gary H. Gibbons, direttore del National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI), principale sponsor dello SPRINT – offre delle informazioni potenzialmente salva-vita che saranno utili ai medici nel considerare le migliori opzioni terapeutiche per alcuni dei loro pazienti, in particolare per gli ultra-50enni. Siamo molto contenti di aver raggiunto questo importante traguardo e di averlo fatto prima della durata prevista dello studio. Ora siamo ansiosi di comunicarne al più presto i risultati completi per migliorare la cura dei pazienti e andare ad influenzare le future linee guida basate sull’evidenza”.
Lo studio SPRINT ha valutato i benefici di raggiungere un target più stringente di pressione sistolica nei pazienti dai 50 anni in su, con aumentato rischio di cardiopatia o di nefropatia. I risultati dimostrano che un valore di pressione sistolica di 120 mmHg, raggiunto con un intervento terapeutico più aggressivo, potrebbe alla fine portare a salvare molte vite tra quegli ultra-50 enni, che presentino, oltre all’ipertensione arteriosa, anche un fattore di rischio aggiuntivo per cardiopatia ischemica.
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Bibliografia scientifica di seguito:
- Landmark NIH study shows intensive blood pressure management may save lives (National Institute of Health, News and Release) http://www.nih.gov/news/health/sep2015/nhlbi-11.htm
- The design and rationale of a multicenter clinical trial comparing two strategies for control of systolic blood pressure: the Systolic Blood Pressure Intervention Trial (SPRINT). (Clin Trials. 2014 Oct;11(5):532-46. doi: 10.1177/1740774514537404. Epub 2014 Jun 5.) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24902920