ESC: inquinamento atmosferico e danni al cuore

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Il legame fra l’inquinamento atmosferico e i danni al cuore è al centro del Congresso Europeo di Cardiologia (ESC) che si è svolto in questi giorni a Londra. Nel 2012 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che, a livello mondiale, un decesso su otto possa essere legato all’inquinamento atmosferico, mentre l’OCSE ha calcolato che nel 2050 proprio polveri sottili e inquinanti atmosferici saranno la prima causa ambientale di mortalità. È per questo che i cardiologi di tutto il mondo stanno studiando il legame fra l’esposizione ai particolati presenti nell’atmosfera e le diverse patologie che colpiscono il sistema cardiocircolatorio portando danni al cuore.

Uno di questi studi è stato condotto in Silesia, una delle regioni più industrializzate della Polonia, e dimostra che a influire sulla salute e sui danni al cuore, in particolare sulle sindromi coronariche acute, non è solo l’inquinamento ma anche il semplice cambiamento atmosferico, come l’alternarsi fra pioggia e sole.

Lo studio, condotto da Aneta Cislak, ricercatrice della Medical University of Silesia, ha esaminato la relazione fra i fattori ambientali, la gravità delle condizioni di salute e la prognosi a breve termine in oltre 2300 pazienti con sindromi coronariche acute senza elevazione persistente del segmento ST (NSTE-ACS), che includono l’infarto del miocardio NSTE e l’angina instabile.

I dati meteorologici, che venivano raccolti il giorno del ricovero, hanno compreso pressione atmosferica, temperatura, velocità del vento, tasso di umidità e intensità della radiazione solare insieme alla concentrazione atmosferica dei più comuni inquinanti. Questi parametri sono stati quindi messi in relazione con le condizioni cliniche dei pazienti.

I ricercatori hanno così scoperto che i pazienti con più alto rischio di infarto del miocardio e sanguinamento e di avere una frazione di eiezione bassa del ventricolo sinistro venivano ammessi con diagnosi di sindromi coronariche acute NSTE nei giorni più caldi, assolati, secchi e ventosi con concentrazioni più alte di monossido di carbonio e ozono. “Si tratta dei pazienti più gravi e i risultati potrebbero essere spiegati alla luce del fatto che i loro organi sono più sensibili ai cambiamenti meteorologici, portando a una decompensazione”, spiega Cislak.

Una delle possibili spiegazioni per questi risultati è che l’inquinamento atmosferico si lega irreversibilmente all’emoglobina e impedisce il trasporto dell’ossigeno nel sangue, infliggendo quindi danni al cuore. Questo può causare ipossia e portare a un peggioramento delle condizioni di salute e a un minor successo dei trattamenti”, ha aggiunto la ricercatrice.

Meno inquinamento = meno danni al cuore

 

Bibliografia scientifica di seguito: